Vie più che ‘ndarno da riva si parte,
perché non torna tal qual e’ si move,
chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
vv. 121-123
Le due corone di Spiriti sapienti, che sono apparse a Dante nel Cielo del Sole, compiono una danza intorno a lui ed a Beatrice, elevando un inno di lode alla Trinità. Poi riprende a parlare S. Tommaso d’Aquino, che risolve il secondo dubbio di Dante, relativo alle parole da lui pronunciate per presentare lo spirito beato di Salomone: “a veder tanto non surse il secondo” (canto X, verso 114). Affermando che nessun altro uomo ha mai potuto uguagliare la sapienza di Salomone, San Tommaso intendeva riferirsi alla saggezza di Salomone nel guidare e governare secondo giustizia il suo popolo. Egli, cioè, lo ha considerato come re, non come uomo. Infatti solo in Adamo e in Cristo fu infusa tutta la sapienza che la natura umana poteva possedere. Per meglio chiarire la sua affermazione, S. Tommaso spiega che sono perfette solo le creature generate da Dio direttamente (come appunto Adamo e Cristo). S. Tommaso termina il suo discorso con una osservazione: coloro che si stupiscono di veder salvo Salomone, dopo che nella Bibbia fu aspramente rimproverato per i suoi peccati, commettono un grave errore, perché pretendono di sostituirsi al giudizio di Dio. Gli uomini, conclude S. Tommaso, dovrebbero essere più cauti nel formulare giudizi sul loro prossimo, perché essi vedono solo le azioni esteriori, mentre Dio conosce ciò che è nascosto nel cuore di ognuno. Solo Lui, dunque, può decidere della salvezza o della dannazione eterna delle sue creature.
La corporazione dei pescivendoli, che si trasformerà in Ordine della Casa Matha, è presente nella vita cittadina fin dal X secolo. Infatti Casa Matha è la continuazione “mutato nomine” della “Scola piscatorum de civitate Ravenne” documentata nell’ultimo scorcio del sec. XI, continuazione a sua volta della “Scola piscatorum Patoreno” (l’antico Badareno), a cui fa riferimento la Carta piscatoria del 943.
Dalla lettura della matricola dei Soci del 1304 possiamo leggere chiaramente Petrus de Zardinis Notarius, che legò la propria esistenza al soggiorno e alla morte di Dante Alighieri a Ravenna.
Questa vicinanza con il sommo poeta è testimoniata da un protagonista della storia letteraria italiana Giovanni Boccaccio che ricorderà la figura di Pietro o Pier Giardini in due distinti racconti.
Nel primo quando il notaio ravennate aveva avuto direttamente da Dante le indicazioni per ricostruirne la data di nascita.
Nella seconda testimonianza Boccaccio ricordava la figura di Pietro Giardini nel Trattatello in laude di Dante, quando nel capitolo XXVI narra di Jacopo, il figlio di Dante, che aveva in sogno visto il padre che gli indicava un luogo in cui erano celati gli ultimi tredici canti della Divina Commedia. Anche in questa occasione Boccaccio traccia un veloce ma efficace ritratto del nostro Pietro Giardini quale testimone oculare di questo straordinario ritrovamento. Così anche se brevemente ce ne parla in questi termini: Raccontava uno valente uomo ravignano, il cui nome fu Piero Giardino, lungamente discepolo stato di Dante.
Queste due narrazioni furono considerate per lunghissimo tempo fantasiose e volutamente create dal Boccaccio, e spinsero alcuni studiosi a mettere in discussione fino a negare anche l’esistenza del nostro Pietro Giardini.
Nel 1342 troviamo ancora Pietro Giardini con la funzione di “cimeliarca” della Chiesa di San Pietro Maggiore (l’odierna San Francesco) e non è da escludere che in quel ruolo fosse anche preposto alla tutela del Sepolcro Dantesco, ancora fedele al Maestro e Amico. L’ultimo suo atto è del 1348, che fu anche l’anno della terribile peste che colpì l’intera Europa.
Questo Canto è stato adottato da Società degli Uomini della Casa Matha
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Risorse Disponibili
- Collocazione del Canto nella cosmologia Dantesca
- Testo integrale del Canto
- Racconto del Canto per bambini dai 5 ai 100 anni
Lettura del Canto
Il Canto viene letto da Spazio A