Paradiso Canto XV

Paradiso 15

«O sanguis meus, o superinfusa
gratïa Deï, sicut tibi cui
bis unquam celi ianüa reclusa?».

Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;

vv. 28-31

I beati del Cielo di Marte, il quinto, interrompono il canto perché Dante possa indirizzare loro le sue domande. Intanto una delle luci che costellano la croce scende lungo il braccio destro e la parte mediana fino ai piedi di essa, come una fiamma che traspare dietro una parete di alabastro, e si rivolge al Poeta con tono particolarmente affettuoso: è l’anima di Cacciaguida, trisavolo di Dante. Il Poeta non riesce ad afferrare il senso delle sue parole, essendo queste troppo al di sopra delle umane possibilità di comprensione. Poi il discorso di Cacciaguida si chiarisce alla mente del Poeta, che viene invitato ad esprimere i propri desideri. Dante gli chiede di poter conoscere il suo nome e l’anima beata glielo rivela. Cacciaguida delinea l’aspetto dell’antica Firenze, quando la città viveva in pace nell’osservanza delle leggi morali, contrapponendo a questa serena visione quella della Firenze attuale, dilaniata dalle lotte e corrosa dall’immoralità. Cacciaguida ricorda i retti costumi dei Fiorentini antichi, la loro serena vita familiare, il culto delle memorie del passato. Cacciaguida ricorda poi il nome dei suoi due fratelli, Moronto ed Eliseo, e quello della moglie, una donna proveniente dalla Valpadana, il cui cognome è quello portato da Dante: Alighieri. Infine parla della propria vita. Egli entrò al servizio dell’imperatore Corrado III, dal quale fu fatto cavaliere. Lo seguì nella seconda crociata per la riconquista della Terrasanta e morì combattendo contro i Saraceni.

Questo Canto è stato adottato da Andrea Bandini.

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Lettura del Canto

Il Canto viene letto da Andrea Chaves.