Inferno Canto XVII

Inferno 17

La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto;

vv. 10-12

Ai margini del terzo Girone del sesto Cerchio, Virgilio annuncia il sopraggiungere di Gerione, simbolo della frode cui nulla resiste. Dal bordo del burrone emerge la figura del mostro con viso umano, busto di serpente, zampe pelose e grandi ali; tiene nascosta la coda velenosa da scorpione. Dante scorge sul sabbione l’ultima schiera di violenti: solo gli usurai, seduti sulla sabbia infuocata, che tentano inutilmente di schermirsi dalle fiamme che piovono dal cielo. Si avvicina a loro e, dagli stemmi di famiglia impressi sulle borse che portano al collo, distingue le famiglie di appartenenza. Uno di loro, Reginaldo degli Scrovegni, padovano, il quale lo apostrofa chiedendogli cosa fa all’Inferno da vivo e invitandolo ad andarsene. Il dannato predice inoltre la futura dannazione del padovano Vitaliano del Dente e del fiorentino Giovanni di Buiamonte, come del resto fanno gli altri dannati fiorentini che stanno insieme a lui. Alla fine del discorso egli tira fuori la lingua, come un bue che si lecca il naso. Dante ritrova Virgilio già sulle spalle di Gerione ma ha paura. Rassicurato dalla sua guida, sale sulla fiera infernale. Inizia la discesa nel vuoto e nel buio. Dante è impaurito, come Fetonte e Icaro nel momento culminante del loro tragico volo. Compaiono infine i fuochi dell’ottavo Cerchio e si odono i pianti dei dannati. Gerione deposita i due poeti sul fondo della parete rocciosa e ritorna velocemente indietro.

Questo Canto è stato adottato da Lorenzo Zangheri

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Lettura del Canto

Il Canto viene letto da Andrea Chaves