Inferno Canto XIX

Inferno 19

O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci
per oro e per argento avolterate,

vv. 1-4

Giunti alla sommità del ponte della terza Bolgia dell’ottavo Cerchio, Dante affronta il vizio della simonia. I due poeti scorgono fenditure e fori di uguali dimensioni. Da quelle buche nella pietra (simili alle fonti battesimali del Battistero di San Giovanni a Firenze, di cui una fu rotta da Dante per salvare uno che vi stava annegando) fuoriescono le gambe dei dannati capovolti, con i piedi lambiti dalla fiamma. Una delle fiamme, che arde con maggiore intensità, attira l’attenzione di Dante.  Virgilio lo guida, lo sostiene con le braccia e lo accompagna presso la tomba di Niccolò III, Papa simoniaco. Nicolò III cade in un equivoco: sapendo che dopo di lui deve venire Bonifacio VIII, crede che il nuovo sopraggiunto sia il Papa e gli rinfaccia la colpa della simonia. Dante, confuso, spiega il malinteso. Nicolò III rivela allora la propria identità, la colpa e il genere di punizione che lo tormenta e ricorda che lì giungerà anche il Papa Clemente V, che si è compromesso con Filippo il Bello e ha trasportato la curia pontificia ad Avignone. Dante sbotta in una solenne invettiva contro la condotta di Nicolò III e dei papi simoniaci che hanno prostituito la Chiesa, avverando così la profezia dell’Apocalisse. Causa di tale corruzione è il cattivo uso che i papi stanno facendo del potere temporale, nato con la donazione di Costantino a Papa Silvestro. Le parole di Dante suscitano l’approvazione di Virgilio che lo sorregge con le braccia. Solo quando hanno raggiunto nuovamente il ponte, Virgilio lo lascia ma, nei loro occhi, già appare la quarta Bolgia, quella degli indovini.

Questo Canto è stato adottato dalla Maestra Paola Dotti

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Lettura del Canto

Il Canto viene letto da Andrea Chaves