L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
vv. 109-111
Dante entra nella terza Cornice, dove gli iracondi sono avvolti nel fumo. Sente delle voci che invocano pace e misericordia, intonando le prime parole dell’Agnus Dei, dimostrano un’assoluta concordia. Un’anima si rivolge a Dante chiedendogli se sia vivo. Dante dice che è per volere di Dio che si trova nel Purgatorio da vivo. L’anima è Marco Lombardo, uomo che da vivo conobbe quella virtù cortese che ormai tutti hanno abbandonato. Egli gli indica la strada e gli chiede che preghi per lui. Dante vuole sapere la ragione per cui il mondo è pieno di malizia. Marco Lombardo gli risponde che gli uomini sulla Terra attribuiscono al Cielo le cause di ogni cosa, come se tutto derivasse da lì. Se così fosse, non esisterebbe libertà e non sarebbe giusto che i buoni vengano premiati e cattivi puniti. Ammette che il Cielo con i suoi influssi accende negli uomini i desideri primari, ma non tutti e che comunque gli uomini hanno la ragione e il libero arbitrio. Dunque se il mondo è corrotto la causa è degli uomini. All’inizio l’anima innocente gusta i beni terreni e, ingannandosi, li considera veri. Per questo motivo furono create le leggi e un reggitore (re) che potesse governare con giustizia. Il Papa, che dovrebbe far rispettare le leggi, possiede la sapienza ma non la giustizia, perché il Papa aspira ai beni terreni. Delle cose terrene dovrebbe occuparsi solo l’Imperatore. Il Papa vuole il posto dell’Imperatore, aggiungendo il potere temporale a quello spirituale. Per confermare quanto ha detto, Marco aggiunge che nel paese (Lombardia), attraversato da Adige e Po, regnavano valore e cortesia, prima che Federico II fosse ostacolato dalla Chiesa. Ora invece non vi sono uomini virtuosi. Ci sono ancora tre vecchi, esempio della cortesia passata, sono: Corrado da Palazzo, il buon Gherardo e Guido da Castello. Dante chiede chi sia Gherardo e Marco si stupisce che non lo conosca. Poi se ne va senza ascoltare altro.
Rinaldo di Concoreggio (o di Concorezzo), a cui il giardino è dedicato, fu Arcivescovo di Ravenna ai tempi di Dante e fu un’importante figura in tempi in cui i Papi avevano unito la spada al pastorale e i contrasti con l’Imperatore erano la causa, per Dante, dei guasti politici dell’Italia del tempo e di quel disordine morale contro cui il poema è una denuncia. Rinaldo invece brillò per attenzione pastorale e concreta alla sua Diocesi, saggezza e lungimiranza: nel 1311 aveva assolto i Templari della Provincia di Romagna rigettando le confessioni ottenute per mezzo della tortura, condannandola come strumento di indagine. Per questo si attirò l’ostilità del Papa avignonese Clemente V, che Dante condanna all’inferno. Non sono noti rapporti tra Dante e l’Arcivescovo, che viveva stabilmente ad Argenta, dove morì un mese prima di Dante.
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