Allor distese al legno ambo le mani;
per che ‘l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: «Via costà con gli altri cani!»
vv. 40-42
Lungo la riva dello Stige, nel V Cerchio, Dante e Virgilio giungono ai piedi di una torre. Qui si trovano le anime dell’iracondi e degli accidiosi, immerse nella palude Stigia: gli iracondi, semisommersi, si percuotono e si mordono vicendevolmente mentre gli accidiosi, sospirando e lamentandosi, sono completamente immersi nell’acqua torbida. La palude di Stige ha un custode: Flegiàs, simbolo dell’ira, perché Apollo sedusse sua figlia ed egli non si placò mai. Flegiàs guida una barchetta con la quale trasporta le anime dei dannati da una sponda all’altra della palude. Egli accoglie i due pellegrini sulla sua barca. Durante la navigazione, uno degli iracondi emerge dall’acqua e si rivolge con arroganza a Dante: è il fiorentino Filippo Argenti. Dante prova disprezzo e odio nei suoi confronti. Pare che Filippo Argenti si fosse appropriato di alcuni terreni confiscati alla famiglia Alighieri, che abbia contribuito all’esilio del Poeta e che avesse dato uno schiaffo a Dante stesso. L’iroso tenta di rovesciare la barca, ma Virgilio respinge il dannato nel fango. La barca approda davanti alle mura della città di Dite, rosse di fuoco, protetta da uno stuolo di diavoli che impediscono a Dante e a Virgilio l’ingresso. Virgilio non riesce a persuadere l’esercito di diavoli a farli passare. Di fronte allo sconforto della sua guida, Dante è preso dal terrore, ma Virgilio lo rassicura e gli preannuncia l’arrivo di qualcuno in grado di aiutarli.
Questo Canto è stato adottato da Ottica Gianni Greco
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Risorse Disponibili
- Collocazione del Canto nella cosmologia Dantesca
- Testo integrale del Canto
- Racconto del Canto per bambini dai 5 ai 100 anni
Lettura del Canto
Il Canto viene letto da Andrea Chaves